L'approccio clinimetrico in psicologia clinica

Elena Tomba, Giovanni Fava
unpublished
Introduzione Il processo di valutazione in psicologia clinica almeno inizialmente non includeva la quantificazione obiettiva e riproducibile degli aspetti psicopatologici. Descrizioni acute ed interessanti ma caratterizzate da estrema variabilità individuale contraddistinguevano lo stile di comunicare sui fenomeni psicopatologici tra clinici e ricercatori (Faravelli, 2004). E' solo tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 che va affiorando, in psicologia clinica, il bisogno di
more » ... pare strumenti di misurazione obiettivi e standardizzati sia di gravità che di cambiamento dello stato psicologico come reazione all'atteggiamento prevalente in quegli anni, che, ispirato dalla fenomenologia e dalla psicoanalisi, caldeggiava la mancanza di riproducibilità come principio basilare nella studio della psicopatologia (ibidem). E' da allora che la psicologia clinica moderna enfatizza l'importanza dell'uso di strumenti di misurazione e di valutazione che si fondino sui principi di validità ed attendibilità. In questo suo proposito, la ricerca si è così adagiata sul terreno scivoloso della teoria psicometrica (Bech, 1993). Lo sviluppo della psicometria, infatti, ha avuto luogo al di fuori del campo clinico, soprattutto nelle aree educative e sociali (Rust & Golombok, 1989). Dal momento quindi che i fenomeni da osservare nello sviluppo dei principi psicometrici non erano propriamente clinici, non stupisce apprendere che essi non potevano essere automaticamente adattabili in psicologia clinica senza crearvi limiti e problematiche (Fava, Ruini, & Rafanelli, 2004). In questo lavoro verranno discusse le inadeguatezze del modello psicometrico in psicologia clinica e verrà sottolineata l'esigenza di una sua integrazione con un'ulteriore cornice teorica, la clinimetria. Le indadeguatezze del modello psicometrico Già Shapiro (1951) sottolineava le difficoltà metodologiche nell'applicazione dei principi psicometrici ai test diagnostici psicologici. Kellner (1971, 1972) nei primi anni settanta, descrisse i problemi psicometrici relativi alla valutazione delle modificazioni del disagio psicologico. La capacità di percepire i cambiamenti di gravità della sintomatologia durante il decorso di un disturbo psicologico, è un requisito fondamentale perché una scala di valutazione sia definita valida da un punto di vista clinico. Tuttavia, molti strumenti di valutazione clinica sono dotati di validità e attendibilità psicometrica ma mancano di sensibilità alla rilevazione del cambiamento. La capacità di una scala di auto od etero-valutazione nel discriminare tra gruppi di pazienti sofferenti della stessa diagnosi clinica (es: pazienti depressi ospedalizzati e ambulatoriali) è stata definita da Kellner come sensibilità (1992). Questo concetto è particolarmente importante quando gli effetti del trattamento sono lievi e nella valutazione dei sintomi sottosoglia o sub-clinici (Fava, 1996). La teoria psicometrica appare essere ulteriormente inadeguata nel setting della psicologia clinica a causa della sua costate ricerca di omogeneità dei costrutti misurati. L'omogeneità delle componenti, misurata da test statistici come l'alfa di Cronbach, è spesso vista come il requisito più importante per una scala di valutazione. Tuttavia, questa ricerca dell'omogeneità statistica può oscurare la capacità di rilevamento del cambiamento dello stato psicologico del test, riducendone la sua sensibilità. In altre parole, la natura ridondante degli item di una scala può certo aumentare l'alfa di Cronbach, ma diminuire la sensibilità. In psicometria, un'alta correlazione è spesso considerata prova che due scale
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