U+D 01| Recensioni
Jean-François Lejeune, Michelangelo Sabatino, Nord Sud, Di Moccia
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NORD/SUD L'architettura Moderna e il Mediterraneo è un libro importante per gli storici dell'architettura e per gli architetti militanti. Dichiarando l'obiettivo di "far luce sul debito creativo che l'architettura modernista del ventesimo secolo deve alla tradizione vernacolare della regione mediterranea" questa pubblicazione dimostra definitivamente quanto fosse "riduttiva" l'interpretazione del Moderno, accreditata dalla storiografica anglosassone e americana sino agli anni Sessanta, che
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... va a omologare l'intera esperienza architettonica del Moderno al paradigma dell'International Style. Il libro restituisce, invece, la condizione "plurale" che ha contraddistinto l'esperienza architettonica del Novecento, e l'irriducibilità del Moderno alla dimensione "monolitica" avvallata da quella storiografia. I saggi raccolti nel libro analizzano alcune delle esperienze più rappresentative del Modernismo Mediterraneo sollecitando una riflessione sull'attualità di questi "pensieri diversi" che, già nella prima metà del secolo, attribuivano un valore fondante al rapporto con l'architettura della tradizione. Tradizione riconosciuta nella permanenza di specifici caratteri identitari espressi dalle forme insediative delle città e, insieme, dai tipi e dalle forme della costruzione tradizionale. I saggi della prima parte collocano in una prospettiva storica questa tensione verso l'architettura "della tradizione vernacolare", finalizzata al riconoscimento del suo perdurante valore. Significativamente sia Barry Bergdoll sia Benedetto Gravagnuolo, individuano nella figura di Schinkel il capostipite della "famiglia" di architetti moderni che, "ridisegnando" le forme dell'architettura tradizionale (scoperta durante i Grand Tour nei paesi del Mediterraneo) le hanno proposte a una "nuova" interpretazione. Il saggio di Gravagnuolo affronta un punto cruciale della questione analizzando il rapporto di Loos e Le Corbusier con il mondo delle forme classiche. Possiamo rilevare, sulla scorta della sua analisi, l'atteggiamento che questi architetti, così importanti per la cultura del Novecento, hanno adottato verso l'antico. Utilizzando modi del pensiero tipicamente "moderni", come l'astrazione e l'analogia, Loos e Le Corbusier hanno superato la riduzione al "linguaggio" in cui la cultura accademica aveva relegato il rapporto con l'antico e hanno assunto l'eredità del mondo classico in una dimensione più "strutturale" e profonda, aprendo a un rapporto analogico con quelle forme. Jean-Francois Lejeune e Michelangelo Sabatino firmano insieme il saggio che introduce al valore dell'architettura "vernacolare" per la teoria e la critica dell'architettura europea tra fine Ottocento e primo Novecento: da Muthesius a Ruskin, da Semper a Giedion. Avvicinandosi ai nostri giorni, Lejeune e Sabatino riconoscono un aspetto importante dell'esperienza architettonica europea del Novecento nella "continuità dell'approccio degli architetti modernisti mediterranei che rivalutarono l'importanza del vernacolare durante le due guerre e perseguirono i loro interessi nel dopoguerra". Questa "continuità dell'approccio" è fondamentale per comprendere l'apporto della cultura italiana al pensiero architettonico del dopoguerra. A questa continuità essi ascrivono l'agire di Giancarlo De Carlo e di Ernesto Nathan Rogers. Nella scia di quest'ultimo collocano la ricerca di Aldo Rossi e l'esperienza della Tendenza.
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