Ma non è rivoluzione. Luoghi comuni e distorsioni semantiche dell'idea di rivoluzione interpretata alla luce delle categorie analitiche del diritto costituzionale
Claudio De Fiores, Università Degli Studi Di Trieste, Università Degli Studi Di Trieste
2019
The concept of revolution is today very abused. Every change in social life and every political action (revolt, coup d'état, resistance, terrorist attack ...) is wrongly defined as revolution. But the word "revolution" has a very precise meaning especially in the tradition of constitutionalism. The Author, using the categories of law, explains the fundamentals of the idea of revolution and its historical and constitutional developments. PREMESSA Riflettere sul concetto di rivoluzione è
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... ione quanto mai complessa, avviata la quale -scrive Simone Weil -«il primo dovere che il presente ci impone è di avere sufficiente coraggio intellettuale per domandarci se il termine rivoluzione è altro che una parola, se ha un contenuto preciso» 1 . Si tratta ovviamente di una domanda retorica. Com'è evidente, la parola "rivoluzione" ha un carattere polisemico. Siamo cioè di fronte -per dirla alla maniera di Gilles Deleuze -a un «concetto-baule» 2 , un termine pluriverso, ricomprensivo di una molteplicità di significati, contenuti, approcci analitici. Il metodo di indagine prescelto per addentrarci in questo intricato labirinto semantico è -né avrebbe potuto essere altrimenti -quello forgiato dal diritto. E il campo d'osservazione da noi privilegiato quello della «Beziehung» tra diritto e rivoluzione, tra la norma che è regola, regolare e regolata e la dimensione rivolu-1 S. WEIL, Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale (1955 ), Adelphi, Milano, 2008 2 G. DELEUZE, Logica del senso, Feltrinelli, Milano, 1975. 78 CLAUDIO DE FIORES zionaria intesa quale fenomeno storico in grado di travolgere ordinamenti giuridici, assetti politici, sistemi di produzione delle regole vigenti. E, in ragione di ciò, capace finanche di «cambiare ciò che non si può cambiare» per utilizzare la celebre definizione impiegata da Platone nelle Leggi 3 . Una dimensione che ha segnato incessantemente la storia degli uomini, in ogni parte del mondo. Ne era persuaso Diderot per il quale «le rivoluzioni sono necessarie; ve ne sono sempre state e sempre ve ne saranno» 4 . E ancor di più Karl Marx dalla cui opera abbiamo appreso che «le rivoluzioni sono le locomotive della storia» 5 . Per entrambi -come si vede -parlare di rivoluzione significa parlare di storia. A pensarlo è anche la teoria giuridica. E in particolare il costituzionalista, impegnato, per vocazione e formazione, «a fare scienza giuridica usando la storia, non solo del diritto» 6 e a confrontarsi, per ragioni che potremmo definire genetiche, con le rivoluzioni, i processi di «rupture de la légalité» 7 e con quell'(apparente) ossimoro che è il diritto rivoluzionario. Il motivo è evidente: il costituzionalismo si è imposto, sin dalle sue origini, quale parte integrante del pensiero rivoluzionario. E lo stesso vale per le Costituzioni che altro non sono state e non sono che conquiste della rivoluzione. Delineate le coordinate storiche del nesso costituzione -rivoluzione si tratta ora di definire lo spazio concettuale di questo secondo idioma. Un'operazione complessa e per molti aspetti ardua. Soprattutto sul piano giuridico. Di qui l'esigenza di procedere, gradualmente, "per approssimazione" cominciando con il precisare ciò che la rivoluzione non è e non è mai stata. IL MONDO SENZA RIVOLUZIONE: DALLA METABOLÈ POLITEION AD AGOSTINO D'IPPONA. NIHIL STABILE SUPER TERRAM: LA RIVOLUZIONE DI GIOACCHINO DA FIORE a) La rivoluzione non è una metabolè politeion. Non è il frutto di alcuna prodigiosa combinazione tra gli eventi del creato e gli eventi della politica, tra le trasformazioni delle forme della natura e le trasformazioni delle forme dello Stato. 3 PLATONE, Le Leggi, III -684, BUR, Milano, 2005, 265. 4 D. DIDEROT, voce Enciclopedia [1755], in Mario Bonfantini (a cura di), Antologia dall'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, Istituto geografico De Agostini, Novara, 1979, 206. 5 K. MARX, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 [1850], Editori Riuniti, Roma, 1992, 119. 6 G. FERRARA, Il diritto come storia, in G. Azzariti (a cura di), Interpretazione costituzionale, Giappichelli, Torino, 2007, 5. 7 R. ARON, Introduction à la philosophie politique: démocratie et révolution, Le Livre de Poche, Paris, 1997, 201. 79 Ma non è rivoluzione. Luoghi comuni e distorsioni semantiche dell'idea di rivoluzione... Essa non ha nulla da spartire con l'avvicendamento delle stagioni, l'alternanza di giorno e notte, il succedersi delle diverse età degli uomini. Scrive Hannah Arendt: la storia, nella visione degli antichi, ben lungi da ripartire ogni volta con un nuovo inizio, doveva ricadere in una diversa fase del proprio ciclo, determinando così un corso di cose che era preordinato dalla natura stessa delle vicende umane ed era quindi in se stesso immutabile 8 . Così come immutabile era anche la successione fra le diverse forme di governo, rigidamente ancorata al cd. schema anaciclico (monarchia-tirannidearistocrazia-oligarchia-democrazia-oclocrazia). Uno schema tramandato dalla filosofia antica (da Platone a Polibio), timidamente sopravvissuto, fra Cinquecento e Seicento, in alcune rilevanti componenti del pensiero politico (da Machiavelli a Campanella 9 ), ma ben presto destinato ad essere, una volta per tutte, travolto dal progressivo consolidamento del moderno. Da quel momento della teoria classica dell'eterno ritorno dell'uguale non vi sarebbe stata più traccia nella cultura occidentale. Nemmeno in Vico 10 . E sarà solo allora che l'idea di rivoluzione -ci ricorda Hannah Arendt -inizierà, progressivamente, a farsi strada nella storia degli uomini: le rivoluzioni infatti in qualunque modo si voglia definirle, non sono semplici mutamenti. Le rivoluzioni moderne hanno ben poco in comune con la mutatio rerum della storia romana o con la στάσις, la discordia civile che tormentò la polis greca. Non possiamo identificarle con le μεταβολαί di Platone, la quasi naturale trasformazione di una forma di governo in un'altra, o con la πολιτείων άναχλωσις di Polibio, il predeterminato ricorso ciclico cui sono soggette le vicende umane, a causa di quel loro essere sempre sospinti dagli estremi 11 . 17 K. LÖWITH, Significato e fine della storia, cit., 197. 18 E.
doi:10.13137/1825-5167/24723
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