Abbaglianti paradigmi (21/01/2012)

Antonio Attisani
2012
La questione del realismo mi sembra simile a quella degli abbaglianti. I fari delle automobili accesi alla loro massima potenza abbagliano, ovvero accecano le auto che incrociano. Da qui il loro nome. Strano però, perché il nome dovrebbe significare la funzione e la loro funzione non è quella di abbagliare, bensì quella di illuminare un tratto di strada il più lungo possibile. Nessuno li ha mai chiamati "fari lunghi" o qualcosa del genere. "Abbaglianti" rimanda alla loro pericolosità, alla
more » ... sità di farne un uso accorto per non indurre quell'effetto secondario che può creare un pericolo mortale. Il termine "realismo" nelle sue varie declinazioni (magico, socialista, poetico, nuovo, ecc.) e in varie epoche diverse è servito -anzi è stato uno strumento di guerra -a indicare altrettanti modi di vedere meglio e più lontano, però sempre "in avanti", non tutt'intorno, ovvero in direzione di una idea di realtà, un'idea precostituita come la direzione nella quale si procede. Per questo, in campo artistico, ha sempre rappresentato l'opzione preferita dai regimi autoritari, che predeterminavano la nozione di bene e potevano controllare il processo e la produttività delle poetiche realistiche. Naturalmente il realismo è stato anche la scelta di molti artisti che lo intendevano come strumento per indagare al di là dei dogmi ideologici autoritari, penso per esempio a Bertolt Brecht. A rileggere oggi le pagine del suo dibattito con Lucàks vien da ridere e da piangere insieme. Da ridere perché di fronte a quelle disquisizioni che sembrano svolgersi in un'accademia gesuitica d'antan verrebbe da dire ai contendenti: smettetela di romperci le palle con i catechismi e i ricettari, quello che conta è la pregnanza dell'opera per noi, qui e ora, ovvero ciò che Goethe o Balzac o Dostoevskij ci fanno "vedere" nella direzione dei nostri sguardi. Viene da piangere, invece, se ci ricordiamo che quei dibattiti erano anche cruenti, come ben si sa, e potevano volare teste. Mi si potrebbe obiettare che qui non si sta parlando di arte ma di filosofia, di uno sguardo sulla realtà che produce concetti ed è del tutto incruento: in una disputa concettuale l'eventuale insulto può essere sempre riassorbito nella puntata seguente. Può darsi. Però c'è sempre il rischio dell'effetto abbagliante, pericoloso non in quanto (eventualmente) fa cadere teste ma in quanto fonte di confusione, e non parlo solo dei più giovani, degli studenti, ma anche di chi, come il sottoscritto, non è un militante della filosofia, non può tenersi aggiornato sul pensiero e le biografie di tutti i filosofi che lo meriterebbero e tuttavia vorrebbe condividere una ricerca anche con i filosofi. Garantirsi di evitare gli abbagli forse non si può, ma, chiedo, è davvero inconcepibile una filosofia anabbagliante, non voglio dire debole e rinunciataria bensì capace di guardare intorno, a trecentosessanta gradi? Chi scrive ha trovato un punto di leva nel teatro del Novecento, identificandolo nell'istanza grottesca che lo percorre tutto, beninteso nelle sue molteplici declinazioni, proprio in opposizione più o meno esplicita e consapevole ai realismi. Corpo grottesco che è diventato mondo grottesco. Scegliere un punto di osservazione non comporta necessariamente che si debba tracciare una linea di demarcazione tra i buoni grotteschi e i cattivi realisti, come dimostrano, spero, le operine storicocritiche prodotte da queste parti. Per fare soltanto un esempio: Brecht interessa perché è un grande scrittore, poeta e drammaturgo nonostante certi impacci i-
doi:10.13130/2239-5474/1904 fatcat:2svclckl2nhj7jevnpbdijagb4