I vescovi italiani e la seconda guerra mondiale
Andrea Riccardi
2018
Anuario de Historia de la Iglesia
Per la Chiesa cattolica in Italia i problemi con il regime fascista non iniziarono solamente con la guerra. Infatti la S. Sede e la maggior parte dell'episcopato italiano non concordavano sulla necessità di entrare in guerra a fianco della Germania e sui cambiamenti della politica fascista che l'avvicinavano al nazismo. L'atteggiamento di distacco dal regime era iniziato già da qualche tempo, dopo una fase di largo consenso cattolico che aveva coinciso con la conquista dell'Etiopia e con la
more »
... ra di Spagna. Si trattava di un processo di disaffezione che coinvolgeva vertici e base del mondo cattolico: aveva preso le mosse dalla constatazione che il regime fascista non si andava evolvendo verso un modello di Stato cattolico, ma costruiva una sua propria identità. La questione delle leggi razziali, introdotte in Italia da Mussolini, era un segno evidente della volontà del fascismo di scostarsi dal modello di regime cattolico. Il card. Schuster, arcivescovo di Milano dal 1929, uno dei vescovi italiani maggiormente convinto della possibilità di un recupero cattolico del fascismo, era intervenuto duramente. In Duomo, a Milano, il 13 novembre 1938, l'arcivescovo aveva proclamato: «Se c'è dunque un concetto antimperiale ed antiromano, è indubbiamente questo del mito razziale del XX secolo...». E' l'«insorgente eresia -anticristiana ed antiromanadel mito nordico razziale» 1 . Pochi mesi dopo, al sinodo minore ambrosia-1. L'allocuzione del card. SCHUSTER, Misterio del sangue nell'economia della salvezza, 13 novembre 1938, citata in T. LECCISOTTI, // cardinale Schuster, 1 voli., Milano 1969, t. I, pp. 50-51. AHIg 4 (1995) 147-165 147 Andrea Riccardi no, l'arcivescovo tracciò la sua ricostruzione dei rapporti tra Chiesa e fascismo fino a giungere -a suo avviso-alla completa estraniazione dello Stato dal cattolicesimo: «... il nodo della questione non è qui: queste contese sono semplicemente le ultime conseguenze di una questione assai più elevata e vitale, che però va ogni di più acuendosi, non soltanto in Italia, ma soprattutto al di là delle Alpi. Tra noi, la Chiesa cattolica si trova di fronte, non tanto ad un nuovo Stato fascista -giacché questo esisteva nell'anno del Concordatoma di fronte ad un imperante sistema filosofico-religioso, nel quale, per quanto non lo si dica a parole, è implicita la negazione del Credo Apostolico, della trascendenza spirituale della Religione, dei diritti della famiglia è dell'individuo» 2 . Altri interventi episcopali non hanno la stessa decisione di quello di un presule, come l'arcivescovo di Milano che aveva creduto fin dall'inizio ad una possibile conversione cattolica del regime. Ora doveva costatare l'adesione fascista ad altri modelli di Stato. Pio XI, il papa dei Patti del Laterano, era perfettamente concorde. Ma i vescovi italiani non vedevano alternative politiche al fascismo e finivano per sperare in qualche resipiscenza, magari con una distinzione, un po' irreale, tra la saggezza personale del capo del governo e la classe dirigente fascista: «se succede qualche inconveniente in un paese o nell'altro per colpa di individui, questo non tocca il complesso del sistema che è buono e fa invidia a tutti», scriveva mons. Roncalli da Istanbul nell'aprile 1939 ai suoi familiari. Le sue opinioni, manifestate per scritto a gente semplice che le diffondeva, rappresentano il sentire medio dell'ecclesiastico italiano. Alla fine dello stesso anno mons. Roncalli notava a proposito del regime: «Bisogna badare alla sostanza: e questa è buona» 3 . Solo più tardi, dopo alcuni anni di guerra, il mondo dei cattolici arrivò in massa a concepire la possibilità di un'alternativa politica al fascismo. Del resto l'approvazione delle leggi razziali giunge meno di due mesi dopo l'accordo di Monaco, quando la S. Sede e l'opinione cattolica aveva-
doi:10.15581/007.4.24935
fatcat:uss4mkasanbafiraicytwkifu4