Tagliare la testa al toro. Alcune riflessioni sull'iconografia di Teseo e il Minotauro
Federica Doria
2010
ArcheoArte
unpublished
Riassunto: Nell'iconografia attica di Teseo in lotta col Minotauro si proietta l'affrancamento di Atene dall'influenza cretese, sancito ritualmente e liturgicamente mediante l'arma utilizzata-la machaira-e la modalità di uccisione-la sphagé-, che connotano in maniera evidente la soppressione come un sacrificio rituale e legittimo. Lo schema che vede Teseo che afferra il mostro per le corna rimanda strettamente alla pratica delle tauromachie cretesi, difficili prove iniziatiche per i giovani di
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... lto rango. In età romana l'arma dell'eroe non è più la spada, bensì la clava, o talvolta il pedum. Ciò che viene a mancare è la proiezione simbolica della potenza atenie-se, non più funzionale, mentre viene invece enfatizzata l'opposizione tra Teseo/civiltà e Minotauro/barbarie. Abstract: In the Attic iconography of Theseus fighting with the Minotaur, the liberation of Athens from the influence of Crete is projected , enacted ritually and liturgically through the used weapon-the machaira-and the way of killing-the sphagé-, which characterize the suppression as a ritual and legitimate sacrifice in an evident way. The drawing which shows Theseus grabbing the monster by its horns closely refers to the practice Cretian tauromachies, difficult initiation tests for the young people of tall rank. In the Roman age the hero's weapon is no longer the sword, on the contrary the cudgel, or sometimes the pedum. What is missing is the symbolic projection of the Athenian power, no longer functional, while the opposition between Theseus/civilization and Minotaur/ barbarity is emphasized instead. Nel XII Canto dell'Inferno dantesco l'Autore, accom-pagnato da Virgilio, incontra-o per meglio dire si scontra-con una creatura tanto celebre quanto tre-menda 1 : [...] e 'n su la punta de la rotta lacca l'infamia di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, sé stesso morse, sì come quei cui l'ira dentro fiacca. Lo savio mio inver' lui gridò: «Forse tu credi che qui sia 'l duca d'Atene, che sú nel mondo la morte ti porse? Pàrtiti, bestia, ché questi non vene ammaestrato da la tua sorella, ma vassi per veder le vostre pene». Qual è quel toro che si slaccia in quella c'ha ricevuto già 'l colpo mortale, che gir non sa, ma qua e là saltella, vid' io lo Minotauro far cotale [...] Simbolo della brutalità selvaggia e dissennata, a tal punto che azzanna sé stesso con impeto autolesioni-1 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno XII 11-25. stico, il Minotauro è uno dei tanti sostegni mitologici presenti nel poema. La creatura è qui l'emblema, per Dante, non solo della violenza, ma anche dell'abomi-nio della natura prodotto da un'unione tanto illegit-tima quanto bestiale 2. Ma se Dante nella sua Comme-dia sfrutta tale connotazione per proporre il mostro come rappresentazione allegorica della degradazione dall'umano al disumano, i tratti distintivi della crea-tura-brutalità, violenza, follia e bestialità-sembre-rebbero avere radici ben più antiche, arricchiti per di più da ulteriori implicazioni esegetiche. Virgilio, non tanto per provocare l'animale quanto per spingerlo a sgomberare il passaggio 3 che li condurrà all'interno del girone degli omicidi, rammenta al mostro l'impresa 2 Il Minotauro era stato generato da Pasifae, moglie di Mi-nosse, e un toro, del quale la donna si era invaghita; per questo si fece fabbricare da Dedalo una finta vacca all'interno della quale si introdusse per accoppiarsi con l'animale (in merito al mito di Pasifae e del toro si veda Apollod. Bibliotheca III; D.S. IV, 77). 3 Dante e Virgilio percorrono un malagevole sentiero, se-gnato da una rovinosa slavina, una delle tante cadute al momento della morte in croce di Cristo; presso la frana, adagiato proprio sul sentiero, unico passaggio per accedere al primo girone, sta il Minotauro.
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