Rabin, the Last Day e Heart of a Dog. 72. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia
Alberto Brodesco
2017
Una piazza di Tel Aviv si riempie di folla, un elicottero la sorvola. I politici parlano dal palco, i militanti più giovani sguazzano festosi nella sottostante fontana. In uno spazio più oscuro, all'angolo della piazza, una macchina blindata rimane parcheggiata in attesa del primo ministro. Yitzhak Rabin salirà su quell'auto colpito a morte, in un mare di sangue. Di quell'evento tutto è stato visto, tutto è registrato. Da una scala prospiciente un operatore ha fi lmato i dettagli
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... . Amos Gitai parte proprio da qui, dal documento "indessicale" di una morte in diretta. Questa ripresa che almeno in apparenza mostra tutto apre però sotto di sé un burrone, produce una frana composta di massi che nascondono la verità o la confondono, rendendola impenetrabile. Come un archeologo del presente Gitai si avvicina a quei sassi di appena vent'anni prima, e inizia a voltarli, talvolta a rivoltarli. Per farlo non rinuncia a nessun elemento del suo stile: piani sequenza, teatralizzazione del cinema, estensione narrativa. Il regista israeliano mostra e rimostra il footage originale intervallandolo, grazie a un montaggio perfetto, con delle ricostruzioni di fi nzione (la corsa di Rabin in ospedale, la preparazione dell'arma da parte dell'assassino...) e soprattutto con la ricreazione teatrale dell'indagine istituita dalla giustizia israeliana per far luce sul delitto e suoi suoi eventuali mandanti. Rabin, the Last Day assume quindi in gran parte il tono del fi lm processuale. Sfi lano davanti ai giudici una lunga serie di testimoni -poliziotti, agenti dei servizi, l'autista... Ogni contributo alla verità processuale apre una moltitudine di fughe sul contesto storico-sociale che racchiude quell'omicidio. La morte di Rabin si confi gura come una guerra civile con un solo caduto. La sorprendente imperizia tecnica nella gestione della sicurezza del capo di stato diventa il sintomo di una debacle generale della società israeliana, incapace di gestire non solo politicamente ma anche culturalmente il processo di pace. Le contraddizioni della cultura ebraica vengono evidenziate da Gitai in una sequenza memorabile, che mostra un consesso di ortodossi che esegue uno splendido canto polifonico, di una bellezza dolente, impregnata di sofferenza. Concluso il canto, quello stesso gruppo religioso scaglia contro Rabin una preghiera/maledizione cabbalistica (chiamata "Pulsa Dinura") che invoca una condanna a morte divina. Canto e violenza, sapienza millenaria e impulso omicida si muovono a braccetto. Il fi lm di Gitai dimostra che Yigal Amir, l'assassino, è un frutto -non, si badi bene, un frutto malato -della società in cui è cresciuto. Alcuni dei passaggi più sconfortanti del materiale d'archivio mostrano Benjamin Netanyahu scandire parole di fuoco contro Rabin e gli accordi di Oslo affacciato da una ringhiera dove campeggia lo striscione "Death to Arabs". Quel leader violento sembrava rappresentare allora una possibilità di futuro destinata a rimanere ai margini del dibattito politico. Come in un fl ash-forward, Rabin, the Last Day mostra uno dei giudici dell'istruttoria uscire in una strada dove i muri sono riempiti di manifesti elettorali di Netanyahu. La distopia di allora è la realtà di adesso. Israele, nonostante le auto-assoluzioni/esaltazioni, dimostra di essere un produttore di violenza ben più che una vittima. In Heart of a Dog Laurie Anderson ha il coraggio di raccontare tre lutti che l'hanno colpita. I primi due, ben in evidenza nel racconto, sono la morte di un cane, la rat terrier Lolabelle, e della madre; la terza, sottaciuta, è quella del marito Lou Reed, cui il fi lm è dedicato. L'eterogeneità di queste tre dipartite RECENSIONI 8 CINERGIE il cinema e le altre arti Cinergie, il cinema e le altre arti Cinergie uscita n°8 novembre 2015 | ISSN 2280-9481
doi:10.6092/issn.2280-9481/6917
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