Unione Europea: sistema istituzionale, ordinamento, tutela giurisdizionale, competenze
G S Cfr, G S Katrougalos Cfr, Katrougalos, Giappichelli, C Barnard, Chalmers Oxford, G Davies, M Monti, Craig Cambridge, G De Burca, Daniele Oxford, Giuffrè
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1996
Jacque J. P
unpublished
La costituzionalizzazione dei diritti fondamentali da parte della Corte di Giustizia: il rapporto tra libertà economiche e diritti sociali 2. Il principio di solidarietà 2. 1 L'impatto della direttiva 2004/38 sui servizi di assistenza sociale per i migranti 2.2 La mobilità degli studenti non afferenti al programma Socrates/Erasmus 2.3 L'estensione dell'applicazione dell'art. 49 ai servizi di assistenza medica 3. I diritti sociali "direttamente" giustiziabili nell'interpretazione della Corte di
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... iustizia 3.1 Il principio di parità di trattamento e il lavoro 3.2 Il diritto di residenza e l'accesso cross-border ai servizi di assistenza sociale 4. La libera prestazione di servizi e le materie non rientranti 5. L'agenda di Lisbona,il metodo aperto di coordinamento e le nuove prospettive in materia sociale 5.1 Il diritto del lavoro e la flexsicurity 5.2 La Strategia Europa 2020 6. I nuovi obiettivi fissati dal Trattato di Lisbona 6.1 Il dialogo con le parti sociali 6.2 Dall'armonizzazione alla cooperazione 6.3 Soluzioni alternative di politica sociale 7. La carta dei diritti fondamentali: l'indivisibilità dei diritti e il nuovo ruolo dei diritti sociali 7.1 I diritti del capo solidarietà 7.2 Gli altri diritti sociali riconosciuti dalla Carta 7.3 I diritti sociali collettivi 8. Il problema degli opt-out 9. Conclusioni CAPITOLO III LA CORTE DI STRASBURGO E I DIRITTI SOCIALI 1. Introduzione 2. La dottrina del margine di apprezzamento nella giurisprudenza CEDU 3. Interpretazione evolutiva e diritti sociali nella giurisprudenza di Strasburgo 3.1 Il margine di apprezzamento statale in riferimento ai diritti sociali 4. La giurisprudenza di Strasburgo in materia sociale 4.1 Diritti sociali e rispetto della vita privata 4.1.1 Un bell'esempio di tecnica interpretativa: il diritto alla casa 4.2 Salute ed educazione 4.3 La tutela dei diritti riguardanti il lavoro e le libertà sindacali 5. I rapporti tra l'Unione europea e la Cedu 6. L'adesione dell'Ue alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali 7. La giurisprudenza di Strasburgo in merito alle violazioni del diritto convenzionale da parte degli Stati membri dell'UE 8. Quando Lussemburgo guarda a Strasburgo: convergenze e divergenze 9. Tra Carta dei diritti fondamentali dell'Ue e Cedu: quale posto per i diritti sociali? 10. Adesione e diritti sociali: quali futuro? 10.1 Cenerentola e i diritti sociali CAPITOLO IV UNIONE EUROPEA, DIRITTI SOCIALI E CRISI SOCIALE: QUALE FUTURO? 1. Un bilanciamento sbilanciato 2. Una conclusione ancora da scrivere decenni parte sostanziale dei diritti legati alla sfera del lavoro e per questo tramite, ottengono un riconoscimento ed una tutela non solo di fronte a gli organi giudiziari nazionali, ma anche di fronte a quelli comunitari. Difatti, se è pur vero che la politica sociale non rientra tra le materie di competenza esclusiva dell'Unione, essendo competenza residuale ai sensi degli artt. 136 e 137 TUE, tuttavia, le politiche economiche del mercato comune hanno avuto, ed hanno, una forte incidenza sulla concreta fruibilità dei diritti sociali e delle prestazioni connesse, in capo ai cittadini europei, in particolar modo nell'ambito delle relazioni lavorali. L'esposizione prosegue, pertanto, con la ricostruzione dell'evoluzione dei Trattati istitutivi dell'Unione e l'inclusione della sfera sociale tra gli obiettivi di questa. In particolare, il secondo capitolo affronta la giurisprudenza della Corte di Giustizia in relazione alle materie sociali, nonché l'inclusione dei diritti sociali nel testo della Carta dei diritti fondamentali. In particolare l'analisi si sofferma sulle tecniche normative adottate nell'area della politica sociale, evidenziando la tendenza ad un approccio di tipo "soft" piuttosto che attraverso il classico metodo comunitario. Da ciò si evince che l'inclusione dei diritti sociali nel testo della Carta dei diritti fondamentali non sembra garantire a questi la priorità, rispetto agli altri diritti riconosciuti dal diritto dell'Unione, posto che "al massimo, consente ai diritti sociali di porre limiti (proporzionati e giustificati da ragioni imperative di interesse generale) alle libertà economiche" 2 . Al riguardo, si evidenzia come nella Carta di Nizza "ad un sì alto enunciato non corrisponde ancora, per i diritti sociali, un livello di protezione comparabile con la tutela che l'ordinamento europeo fornisce ai diritti economici e di libertà" 3 ; non risolvendo il rischio di un "bilanciamento sbilanciato" 4 fra diritti sociali e libertà economiche, dato che manca "uno statuto giuridico di questi diritti che dia loro pari rilevanza, pari spazio e (almeno) pari dignità rispetto alle libertà economiche: statuto che il diritto europeo non ha (ancora) saputo mettere in piedi" 5 . Alla luce della debolezza delle soluzioni normative delineate sul piano comunitario, attraverso il metodo aperto di coordinamento e le diverse Strategie varate negli ultimi dieci anni, si rileva l'assenza di criteri normativi adeguati ad operare un bilanciamento fra i diritti sociali e libertà economiche. Certamente, la Carta di Nizza rappresenta un momento importante nella costruzione dell'Europa sociale, a condizione che in essa si intenda ricercare non un modello da porre in 2 In questo senso G. Bronzini, Diritto alla contrattazione collettiva e diritto di sciopero entrano nell'alveo protettivo della Cedu: una nuova frontiera per il garantismo sociale in Europa?, in RIDL, 2009, II, 975 3 R. Greco, Il modello sociale della Carta di Nizza, cit., 522. 4 M.V. Ballestrero, Europa dei mercati e promozione dei diritti, cit., 20. 5 M.V. Ballestrero, Europa dei mercati e promozione dei diritti. 9 raffronto con le Costituzioni dei singoli paesi membri dell'UE ma il "denominatore comune" destinato ad operare come parametro di "armonizzazione coesiva" 6 . Rispetto alla distinzione tra norme-principio e norme-diritti, accolta anche dalla Carta, il presante lavoro sottolinea, come questa sia suscettibile di determinare non poche difficoltà in sede applicativa. Tuttavia, se è verosimile ritenere che i diritti di solidarietà enucleati dalla Carta -nella più gran parte dei casi, e come del resto tutti i diritti fondamentali -saranno impiegati come norme di raffronto, non è affatto escluso che essi, all'occorrenza in combinazione con elementi giuridici tratti dal diritto interno o dal diritto dell'Unione, possano fondare anche pretese autonome, come riconosciuto, ad esempio, nel caso Mangold con riguardo al principio di non discriminazione in base all'età. Per effetto della Carta, infatti, l'Unione, come pure gli Stati membri, hanno assunto l'obbligo di promuovere i diritti e i principi in essa contenuti, pertanto, sia sotto il profilo della tutela dei diritti enunciati, sia sotto quello della garanzia dei principi, essi hanno un obbligo positivo. Eppure, appare evidente come non sia sufficiente che i diritti sociali siano inclusi in un bill of right, affinchè la loro garanzia, sul piano dell'Unione, possa dirsi raggiunta. Difatti, restano gli Stati membri i depositari della implementazione concreta dei diritti sociali, posto che il riparto di competenze tra Stati e Unione, non può essere superato dalle previsioni della Carta. Esaurita questa analisi, il terzo capitolo si sofferma sui rapporti tra il diritto dell'Ue e quello della Cedu. Dopo aver ricostruito la portata delle tutele offerte ai diritti sociali in sede europea, il lavoro prosegue, infatti, evidenziando le problematiche connesse alla futura adesione dell'Ue alla Cedu. In particolar modo si pone il problema di come la teoria del margine di apprezzamento statale, elaborata dalla giurisprudenza di Strasburgo, possa applicarsi all'Unione, una volta avvenuta l'adesione, e se la sua interpretazione verrà ad essere estesa o ristretta. La preoccupazione maggiore risiede nel fatto che il margine di apprezzamento statale potrebbe essere invocato dalla stessa Unione per salvaguardare scelte normative che siano in contrasto con la Convenzione 7 . Particolarmente in materia di diritti sociali, il margine di apprezzamento (dell'Ue) potrebbe, infatti, divenire lo scudo sotto il quale la Corte di Giustizia potrebbe ripararsi dal sindacato della Corte Edu: ad esempio in materia di sciopero, reiterando sentenze come Viking e Laval, sulla scorta di deroghe derivanti dalla protezione delle particolarità del sistema UE. Sotto un secondo profilo, ci si interroga se anche la dottrina della protezione equivalente 6 R. Del Punta, I diritti sociali come diritti fondamentali. 7 La stessa Corte di Lussemburgo ha, infatti, recentemente affermato che la supremazia del diritto internazionale «sul piano del diritto comunitario non si estenderebbe al diritto primario e, in particolare, ai principi generali nel cui novero vi sono i diritti fondamentali», cfr. cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, Kadi e Al Barakaat c. Consiglio, punto 308. CAPITOLO I I DIRITTI SOCIALI NEGLI ORDINAMENTI DEGLI STATI MEMBRI E DELL'UNIONE EUROPEA "La sfida essenziale del nostro tempo, in tema di diritti fondamentali è quella della loro effettività, e quindi, anzitutto, dell'efficacia degli strumenti di tutela. Non basta che i diritti siano proclamati nelle Costituzioni e nelle Carte: occorre che vi siano e siano operanti strumenti concreti per renderli effettivi" 8 . Introduzione -1. Diritti sociali, Stati membri e ordinamento europeo -1.1 Definizione dei diritti sociali -1.2 Clausola di politica sociale o diritti effettivi -2. I modelli europei di tutela dei diritti sociali -2.1 Il welfare state europeo: mito o realtà?-2.3 I modelli dei paesi dell'Europa meridionale -2.4 Il modello scandinavo -2.5 Il modello bismarkiano -2.6 Il modello dei paesi anglosassoni -2.7 I modelli dell'Europa dell'Est -3. I diritti sociali e l'Unione Europea: riconoscimento ed evoluzione -3.1 Dall'Atto Unico Europeo al Trattato di Nizza -4. I diritti sociali e il problema delle competenze -4.1 La competenza comunitaria in materia di diritti sociali -4.2 L'integrazione negativa delle libertà economiche e il rapporto con i sistemi nazionali di Welfare -4.3 La cittadinanza europea e il problema della convergenza dei sistemi nazionali di sicurezza sociale -5. Conclusioni 1. Diritti sociali, Stati membri e ordinamento europeo Il presente capitolo vuole affrontare il problema della individuazione e definizione dei diritti sociali negli ordinamenti degli Stati membri dell'Unione Europea e nell'ordinamento comunitario, al fine di valutarne l'effettiva giustiziabilità sul piano dell'ordinamento comunitario. Si vuole partire da una prima affermazione: il problema della giustiziabilità 9 di un diritto è centrale per l'affermazione e, si può dire, per il riconoscimento ontologico dello stesso. Per 8 V. Onida, Spunti in tema di Stato costituzionale e di diritti fondamentali, in L. Lanfranchi (a cura di), Lo Stato costituzionale. I fondamenti e la tutela, Istituto Enciclopedia Italiana, Roma, 2006, pp. 59-61. 9 Il termine giustizi abilità è tipicamente politologico, e per noi giuristi quindi è un termine atecnico; con esso si intende la situazione sostanziale e processuale relativa alla garanzia delle situazioni giuridiche di volta in volta protette (sia con rango costituzionale, che comunitario, che internazionale che anche legislativo). 13 quanto riguarda i diritti sociali tale affermazione fa sorgere non poche problematiche. Infatti, come si cercherà di illustrare nel prosieguo, i diritti sociali presentano notevoli divergenze rispetto a quei diritti che vengono definiti come "classici", in particolar modo sotto il profilo, proprio, della loro giustiziabilità. Per poter affrontare il tema della giustizi abilità di tali diritti, per prima cosa ci si dovrà, dunque, chiedere quali sono i diritti sociali e, forse ancora prima, che cosa sia un diritto sociale; se questi diritti godono delle stesse garanzie degli altri diritti e, se siano attivabili in giudizio come i diritti civili e politici ed, infine, quale sia l'equilibrio tra l'affermazione del diritto e la sua garanzia. Gli interrogativi qui posti risultano avere delle risposte piuttosto divergenti già a livello di ordinamenti nazionali, risposte che si complicano ulteriormente nel momento in cui si trasla l'analisi dal piano nazionale a quello comunitario. In primo luogo, vi sono da sottolineare le profonde differenze che caratterizzano i diversi sistemi di diritti sociali europei. Non essendo, infatti, la materia sociale una competenza comunitaria, ma bensì una competenza residuale, l'armonizzazione dei sistemi giuridici nazionali in questo campo risulta essere, attualmente, piuttosto scarsa. Quello che viene definito come modello sociale europeo, si fonda, in realtà, su un'idea generale comune, quasi antitetica alle costruzioni nord-americane, secondo la quale lo Stato deve garantire ai propri cittadini un'esistenza degna e per tanto deve intervenire al fine di sanare le disparità che il mercato e la libera concorrenza creano. L'assunto sul quale i diversi Stati membri dell'Ue fondano il proprio modello statale è quello per cui la società deve farsi carico dei cittadini che hanno meno possibilità. Per rispondere a queste esigenze ogni Stato membro ha, tuttavia, elaborato un modello proprio, tanto che in Europa esistono tante diverse versioni del modello di stato sociale quasi quanti sono gli Stati stessi. Un secondo fattore di difficoltà è rappresentato dai costi: lo stato sociale costa molto. Basti pensare che l'Unione non avrebbe oggi le risorse sufficienti a garantire l'effettività dei diritti sociali così come li garantisco i singoli Stati 10 . Spostandosi sul piano comunitario si possono fare alcune premesse. L'integrazione 10 Il tema dei costi dello stato sociale è un tema molto noto, si veda per tutti W. Scharpf, Politiche sociali ed economiche in Europa. Un approccio alla teoria, in Giochi e paradossi in politica, a cura di G. E. Rusconi, Einaudi, 1989. Quello che qui si vuole sottolineare è l'impossibilità, almeno nella prospettiva attuale, di una sostituzione dell'UE agli stati membri in materia di politica sociale. Se l'Unione assumesse davvero il ruolo degli stati in materia di politica sociale allora bisognerebbe riconfigurare l'Unione stessa in senso federale, e questo perché per sostenere i costi di un'Europa sociale, sostitutiva delle politiche degli stati membri, occorrerebbe un sistema centrale di riscossione dei tributi simile a quello di uno stato federale capace, in un secondo momento, di ridistribuire tali entrate a organi decentrati, situati nei singoli stati membri, incaricati di gestire i servizi sociali, intesi qui in senso lato, vincolati ad un programma e ad una verifica da parte del "governo centrale" al fine di garantire nei 27, o più, stati membri il medesimo livello e garanzia dello stato sociale. economica del'Unione ha creato benessere e soprattutto ha fatto si che gli ordinamenti nazionali europei convergessero e si armonizzassero in tutti quei settori sottoposti alla competenza comunitaria. Questo tipo di armonizzazione economica è però arrivato a un punto tale di integrazione che da solo, oggi, risulta insufficiente, senza l'apporto di adeguate politiche sociali che ne garantiscano il bilanciamento. L'integrazione europea non può prescindere dall'integrazione sociale ma, al contrario di quanto pensavano i padri fondatori, tale integrazione non è conseguenza automatica della prima. Si vuole suggerire un paragone per descrivere la parabola evolutiva dell'UE, prendendo a prestito il pensiero di T. Marshall 11 . Secondo questo autore il progressivo riconoscimento dei diritti civili politici ed, infine, sociali corrisponde alle fasi evolutive dello stato nazionale così come sviluppatosi dal XVIII al XX secolo, passando dal modello di stato liberale fino a quello sociale. Visto da un'altra prospettiva si può affermare che anche l'Unione ha affrontato e affronta tale tipo di evoluzione: da un'iniziale fase in cui gli obiettivi economici risultano preponderanti, attraverso il progressivo riconoscimento pretorio dei diritti civili e politici dei cittadini dell'UE, fino al momento attuale, caratterizzato da una situazione di crisi economica, dove il problema della politica sociale si fa pressante, in un contesto a 27 Stati nel quale non si può più ignorare le esigenze connesse al cosiddetto "modello sociale europeo". Insomma, il modello comunitario si sta trasformando da quello di uno Stato liberale o neo liberale, che protegge come valori fondamentali l'integrazione e lo sviluppo economici, tipico degli Stati del secolo passato, ad un modello simile a quello degli Stati contemporanei, dove le correzioni del mercato, affidate all'intervento statale, servono a garantire ai cittadini standard di vita adeguati 12 . Analizzando l'evoluzione della Comunità prima e dell'Unione oggi ci si rende conto che tanto più l'integrazione economica avanza, tanto più la necessità di una integrazione sociale viene avvertita. Sintetizzando si può quindi affermare che il problema della giustizi abilità dei diritti sociali a livello comunitario si articola in due sottoproblemi: da un lato, l'assenza di uniformità dei sistemi sociali europei e quindi la difficoltà di creare standard univoci di garanzia accettabili da tutti e dall'altro, la difficoltà di prevedere uno stato sociale comunitario rispettando il rapporto di competenze tra gli Stati membri e l'Unione, basato sul principio di sussidiarietà 13 . Ciò che qui si propone è, dunque, una lettura dell'integrazione europea dei diritti sociali che punti sul riconoscimento delle differenze tra gli ordinamenti nazionali in un ottica non tanto, 11 L'opera originale è del 1950 intitolata Citizenship and social class. 12 Cfr. J. Baquero Cruz, La proteccion de los derechos sociales en la comunidad europea tras el tratado de Amsterdam, in Revista de derecho Comun, pp. 639-666, qui. p. 645. 13 Cfr. B. Veneziani, Nel nome di Erasmo da Rotterdam. La faticosa marcia dei diritti sociali fondamentali nell'ordinamento comunitario RGL, 2000, 4. Secondo la definizione, oggi, comunemente accettata, i diritti sociali sarebbero un elemento fondante della cittadinanza in quanto individuano una serie di garanzie che permettono al cittadino di essere più di un semplice appartenente ad una società, qualificandolo, anzi, come soggetto attivo in essa. Garantire il lavoro, condizioni di vita degne e protezione in caso di perdita del lavoro da parte dello Stato, significa approntare un welfare state che guarda ai suoi cittadini non più solo come sudditi, il cui unico valore poggia sulla capacità di produrre ricchezza, ma come persone il cui valore intrinseco è dato proprio dall'essere uomini, i quali, pertanto, appartengono ad una società che non solo pretende qualcosa da loro, ma che si fa carico di proteggerli e guidarli per tutto il corso della loro vita. Un altro aspetto importante che emerge da tale definizione è il carattere non immutabile dei diritti sociali. Ciò che deve essere garantito al cittadino varia da epoca a epoca e da società a società. I diritti sociali sono, in pratica, la coscienza sociale della società che muta e si amplia a seconda delle condizioni generali in cui opera lo Stato 18 . Se questo è vero da un lato, dall'altro vi è un secondo elemento importate che gioca un ruolo nel riconoscimento della portata dei diritti sociali: il mercato. Fino a quando il cittadino non viene percepito al di sopra e al di là delle regole del mercato, cioè fino a quando non viene sganciato dall' essere considerato una mera forza produttrice, non potrà aversi il riconoscimento dei suoi diritti sociali. Non per niente, sempre secondo T. Marshall, "queste aspirazioni sono state soddisfatte [in parte] facendo entrare i diritti sociali nello status della cittadinanza e creando così un diritto universale a un reddito reale non misurato sul valore di mercato del soggetto" 19 . Se questo concetto è valido nella costruzione dello Stato sociale così come si è avuto in Europa nel corso del XX secolo, lo sarà, come si vedrà, ancor più nella costruzione dell'Unione europea che, sganciatasi dalla visione meramente economica dei suoi fini, dovrà farsi carico della dimensione sociale dei suoi cittadini per costruire un' "Unione [che] si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; un'Unione [che] si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto 20 ", sempre e comunque nel rispetto del principio di sussidiarietà. Secondo la definizione che si è data, i diritti sociali sarebbero dunque, tutti quei diritti che garantiscono alla persona un'esistenza degna e, pertanto, sono quei diritti senza i quali nemmeno i diritti civili e politici potrebbero essere esercitati. In pratica, se il cittadino non ha intendo tutta la gamma che va da un minimo di benessere e sicurezza economica fino al diritto di partecipare pienamente al retaggio sociale e a vivere la vita di persona civile, secondo i canoni vigenti nella società". 18 Il concetto è molto semplice ed intuitivo, basti pensare allo sviluppo delle garanzie dei lavoratori dall'800 al 900 cfr. Perulli, La promozione dei diritti sociali nell'era della globalizzazione, in Dir. Rel. Ind., 2001, 01, 157. 19 T.H. Marshall, op. Cit. Pag. 50. 20 Cfr. Il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, il corsivo è nostro. ragione della prestazione a cui danno accesso, ma al fine che intendono perseguire e si capisce, pertanto, come questo parametro possa essere flessibile e soprattutto sottoponibile a limiti, creando una disparità di tutela tra i diritti ad una prestazione ed i "diritti ad un interesse". L'alto grado di indeterminatezza di questi diritti fa sì che, per ottenere una loro protezione efficace, l'intervento dello Stato e della magistratura debba essere più intenso 23 . In questo senso, infatti, i cosiddetti diritti sociali programmatici, non possono trovare una tutela effettiva, e quindi non possono considerarsi veri diritti, fino a quando le Corti non definiscono i limiti che la norma impone agli individui e allo Stato affinché questi possano essere goduti. Tali diritti, pertanto, non si concretizzano nell'attribuzione al singolo cittadino di una pretesa immediatamente soddisfabile, che di per se gli garantisca un quid immediato, al contrario, questi diritti generano delle aspettative per il cittadino e delle pretese nei confronti della pubblica amministrazione. Si può fare un altro esempio. Il diritto all'istruzione non garantisce automaticamente l'attribuzione di un titolo di studio al singolo ma, garantisce la possibilità di frequentare gratuitamente la scuola dell'obbligo, fino al raggiungimento dell'obiettivo titolo di studio. L'interesse che lo Stato ha nei confronti di questo diritto è ben diverso rispetto a quello del singolo. Il cittadino vuole la garanzia di un posto in aula, di un insegnante competente ed infine di un titolo spendibile sul mercato del lavoro; lo Stato vuole livelli di istruzione elevati, riduzione dell'analfabetismo ed, in ultima analisi, cittadini istruiti coscienti del proprio ruolo attivo nella società. Perciò, non è realmente possibile garantire il diritto all'istruzione inteso come fine statale, al contrario è invece possibile garantire al singolo studente di prendere parte alle lezioni della scuola dell'obbligo. La distinzione in due categorie di diritti sociali appare fondamentale per capire lo sviluppo della tutela che i diritti sociali ricevono, in particolar modo nell'ordinamento comunitario; perché è proprio la difficoltà di garantire l'implementazione delle clausole sociali che genera un'asimmetria a livello comunitario tra la garanzia di quei diritti che sottendono allo sviluppo del piano economico, pacificamente garantiti dalla Corte di Giustizia, e quelli che garantiscono la fruizione dello stato sociale, i quali ricevono una tutela altalenante da parte della stessa Corte. In pratica, l'Unione promuove le politiche sociali statali ma non ha ancora le capacità e i mezzi per organizzare una politica sociale che, basandosi sulle norme di indirizzo, la vincoli, così come avviene negli ordinamenti statali, ad un progetto compiuto di stato sociale, ma si tornerà nel prosieguo sulla questione, quando si affronterà la tematica della Carta dei diritti fondamentali e la riconduzione dei diritti sociali nella categoria di diritti fondamentali protetti dall'ordinamento comunitario. 23 Cfr. J. Baquero Cruz, La proteccion de los derechos sociales en la comunidad europea tras el tratado de Amsterdam, in Revista de derecho comunitario, 1998, pp. 639-666, qui p. 641. 21 sociali e di quelli civili e politici 25 . Per prima cosa si può affermare che tutti i paesi dell'UE riconoscono e tutelano i diritti sociali a livello di legislazione ordinaria, con particolare attenzione ai diritti dei lavoratori e di assistenza sociale. Non tutti, al contrario, prevedono una codifica a livello di Costituzione di tali diritti, e molto spesso anche quando i diritti sociali vengono inseriti nei testi costituzionali essi sono spesso intesi più come clausole di indirizzo politico che come posizioni attive direttamente tutelabili 26 . Si deve poi sottolineare un'ulteriore fonte di problematicità: l'assenza di definizioni comuni dei diritti sociali comporta non solo, che i diversi Stati membri tutelano differenti diritti sociali ma che gli stessi sono formulati e, pertanto, tutelati in forme differenti. Ad ogni modo, pur con delle specifiche differenze, è possibile affermare che esiste un nocciolo di diritti sociali che caratterizza il modello sociale europeo: pensioni di anzianità, assicurazioni per malattia e infortuni, tutela del lavoro e in caso di licenziamento, sanità ed educazione e tutela della maternità e dell'infanzia, i quali costituiscono i principi cardine su cui si basano le politica sociali degli Stati membri 27 , ed hanno lo scopo di garantire un minimo di sussistenza economica a tutti i cittadini, attraverso apparati di ridistribuzione della ricchezza approntati dallo Stato stesso 28 . Si deve ricordare, ancora una volta, che i diritti sociali, ancor più rispetto alle libertà negative, necessitano dell'azione integratrice/attuativa del legislatore ordinario, vale a dire che la loro esigibilità, sotto il profilo della giustiziabilità, necessita l'intervento della pubblica amministrazione, senza la quale il diritto anche se enunciato rimane sprovvisto di mezzi per essere esercitato. Il riconoscimento costituzionale del valore fondamentale di tali diritti, infatti, non è sufficiente senza l'intervento dell'apparato statale, affinché essi siano effettivamente esercitabili e tutelabili. Non è un caso, quindi, che si parli di stato sociale, posto che, i diritti sociali, ancor più di quelli civili e politici, necessitano dell'intervento dell'apparato statale che garantisca loro un substrato sul quale implementarsi. 25 Cfr. C. Costello (ed.), Fundamental social rights: Current European Legal Protection and the Challange of the UE Charter of Fundamental Rights (Dublin, Irish Centre for European Law, 2001). 2.1 Il welfare state europeo: mito o realtà? Prima di descrivere sommariamente gli ordinamenti sociali dei diversi paesi europei ribadisce che esistono sicuramente dei valori e dei diritti, che definiremo sociali che vengono avvertiti da tutti gli Stati membri dell'UE come meritevoli di tutela e di garanzia. Il problema fondamentale è che, benché esista questo substrato comune di coscienza sociale europea, manca una omogeneità di metodologie sia da un punto di vista dell'attivazione dell'azione di garanzia del diritto, sia per quanto riguarda il quantum della tutela offerta. Infatti, gli standard comunitari, faticosamente raggiunti con la Carta dei diritti fondamentali, risultano ancora limitati per portata e per garanzie e non sono in grado di qualificarsi come costitutivi di un generale modello uniformemente applicabile e soprattutto uniformemente sindacabile. Quello che certamente è vero è, che non si può sostenere che l'Unione abbia, oggi, raggiunto quel modello di Unione che Delors definiva "a mixed economy, with partecipation of all citizens, that combines the market with the state steering and the social dialogue" 29 . Negli ultimi decenni lo stato sociale è entrato in crisi in quasi tutta Europa e ha avuto bisogno di riforme anche drastiche. Il problema principale è rappresentato dalla sua sostenibilità economica. Fattori quali l'allungamento della vita media, ottenuto grazie ai progressi della scienza e della medicina, hanno aumentato le spese, specie sanitarie e pensionistiche; i processi di globalizzazione che hanno messo in competizione l'Europa con paesi con un basso costo della manodopera, i quali hanno poche o nulle spese di welfare, accentuano la competizione economica tra e al di fuori paesi membri. Il problema della tutela dei diritti fondamentali e in particolar modo di quelli sociali, da parte dell'ordinamento comunitario, è, così, emerso nel momento in cui l'affermazione della dottrina dell'effetto diretto, della supremazia del diritto comunitario e dei poteri impliciti, hanno fatto apparire chiara, l'insufficienza della tutela offerta dall'ordinamento comunitario in quest'ambito. Dal 1974 in poi, con quella che è stata definita la fine della prosperità 30 , si è quindi, incominciato a parlare di politica sociale comunitaria, e di attivismo sociale, che si è incarnato nelle direttive comunitarie in materia di lavoro promulgate negli anni 80. L'integrazione positiva attraverso la normazione offerta dal diritto comunitario risulta comunque insufficiente e viene superata da quella negativa, cioè quella che si sviluppa attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale però riguarda ancora solo la 29 J. Delors, Defending the European model of society, in Commision of the European Communities, Combating the social exclusion, Fostering integration, 49, 1992. 30 B. Veneziani, In nome..., op. Cit. tutela delle libertà di circolazione, elevate a diritti fondamentali, creando "un asimmetria tra integrazione positiva e negativa dei sistemi nazionali di welfare state, che si è detto essere il principale precipitato delle trasformazioni della costituzione economica europea" 31 . Questa timida giurisprudenza della Corte di Giustizia ha aumentato ancor più il deficit di tutela comunitaria, laddove ha esposto, ancor più, i diritti sociali nazionali alle pressioni della liberalizzazione economica europea. Fondamentalmente, il deficit di tutela comunitaria dei diritti fondamentali ha riguardato sia l'assenza di compiuti riferimenti inseriti nei Trattati, sia la giurisprudenza della Corte di Giustizia, il cui dialogo, anche con le Corti costituzionali nazionali, ha sempre riguardato i diritti fondamentali intesi come libertà economiche e non i diritti sociali. Tutto ciò, come si diceva, ha creato una forte asimmetria tra la garanzia e lo sviluppo del modello economico comunitario e quello sociale, in particolar modo a seguito della costituzionalizzazione dei Trattati operata dalla Corte. Dato che nei Trattati i diritti sociali non vengono indicati come diritti pienamente giustiziabili, la giurisprudenza della Corte ha, per contro, fortemente espanso la tutela delle libertà economiche, ma facendo ciò avrebbe, come sostengono alcuni, "smantellato le tutele approntate dagli ordinamenti sociali nazionali" 32 . Dagli anni ottanta in poi il dialogo intorno alla necessità di un catalogo di diritti sociali comunitari si è fatto più pressante. L'idea era quella di poter compensare il deficit creato dall'integrazione negativa attraverso l'inserimento nel Trattato di un catalogo di diritti sociali che potesse fungere da base per uno sviluppo della giurisprudenza della Corte in materia, per scongiurare ciò che era già avvenuto, e cioè l'elaborazione pretoria di diritti fondamentali strumentali unicamente alle esigenze di integrazione economica 33 . Si vedrà nel prosieguo, come si sia dovuti attendere quasi 20 anni per scrivere un catalogo comunitario che prevedesse esplicitamente la tutela dei diritti sociali. Ciò che qui si è cercato di evidenziare è come questa esigenza abbia alle sue origini il mutamento della concezione stessa dell'Unione avutosi negli ultimi decenni, la quale ha condotto, a seguito della stesura della Carta, alla necessità di una modifica dei Trattati nella materia sociale, al fine di colmare il gap tra integrazione positiva negativa. I modelli dei paesi dell'Europa meridionale Procedendo con l'analisi dei modelli sociali nazionali, si vuole cominciare da quelli vigenti negli Stati dell'Europa del sud: Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Francia. 31 Cfr. F. Carinci e A. Pizzoferrato, "Costituzione" europea e diritti sociali fondamentali, in LD, 2000, pp. 281 ss. 32 Cfr. S. Simitis, Dismantling on strengthening labour law: the case of European Court of Justice, in ELJ, 1996, pp. 1ss. 33 In questo senso si veda la nota di analisi di J. Coppel e A. O'Neil, The european Court of justice: taking rights seriously?, in CMLR, 1992, pp. 669 ss. Questi paesi hanno sviluppato un sistema di tutela dei diritti sociali che si basa sul presupposto della loro inclusione all'interno dei testi costituzionali. La prima affermazione in questo senso si ritrova già nella Costituzione rivoluzionaria francese del 1791, dove si legge che dovere della rivoluzione è di trasformare la carità ai poveri in un vero e proprio diritto 34 . A differenza dei modelli dell'Europa centrale, questi paesi non solo prevedono una cosiddetta clausola sociale nel testo costituzionale ma, generalmente, accolgono anche un catalogo dettagliato dei diritti sociali che lo Stato deve garantire. Ferma restando l'idea che il catalogo espresso nelle Costituzioni abbia comunque un carattere di variabilità legato sempre allo sviluppo della società, questi modelli, consacrando nel testo Costituzionale taluni diritti, riflettono l'esigenza di garantire che, per lo meno quei diritti espressi, non possano venire derogati, elevandoli in tal modo a core delle politiche sociali statali. Come si è già detto, infatti, tutte le normative nazionali prevedono che la normazione puntuale dei dettami costituzionali sia devoluta al legislatore, pertanto, anche nei modelli che espressamente richiamano i diritti sociali nelle costituzioni, spetta comunque alla volontà parlamentare l'implementazione e la tutela di tali diritti. Infatti, in nessun testo costituzionale si rinvengono norme puntuali che descrivano come dare attuazione ai precetti ivi esposti, lasciando al legislatore nazionale il compito di prevedere le modalità di riconoscimento, attuazione e tutela dei diritti ivi enunciati. L'inserimento di un catalogo di diritti sociali nei testi costituzionali eleva, tuttavia, questi stessi ad un rango più elevato nella gerarchia delle fonti, pertanto è possibile sostenere che in questa famiglia di paesi vi è un riconoscimento dei diritti sociali come fondamentali, sia pure nell'ambito di un loro riconoscimento graduale, rispettoso della discrezionalità legislativa e soprattutto delle relative problematiche di copertura di spesa 35 . 34 Cfr. Comité de Mendicité de la Constituante, ler Rapport, 1970. È la prima volta che un testo costituzionale riconosce i diritti sociali in quanto tali, svincolandoli dall'idea di uno stato che fa carità ai più poveri ( cfr. la nota 32). Per incontrare un altro testo costituzionali che riconosce tali diritti bisognerà attendere poi la repubblica di Weimer. 35 L. Carlassare, Forma di stato e diritti fondamentali, in Quaderni Costituzionali, 1995, 1. I diritti sociali e l'Unione Europea: riconoscimento ed evoluzione Come si è più volte ripetuto, lo spazio riservato ai diritti sociali dai Trattati istitutivi delle Comunità economiche 50 è pressoché nullo. I motivi di tale assenza possono ricondursi a tre ordini di ragioni 51 : anzitutto, alla convinzione, allora diffusa, secondo la quale un'istituzione di tipo economico quale quella comunitaria non avrebbe avuto "alcuna possibilità di incidere sui diritti umani" 52 . Il secondo fattore, poggiava sulla considerazione che una tutela effettiva di tali diritti veniva già garantita sia, a livello nazionale, dal lavoro delle Corti Costituzionali sia, a livello internazionale, dallo strumento offerto dalla Convenzione di Roma del 1950 53 ed, infine, dal timore che le neo istituzioni, specie la Corte di Giustizia, potessero espandere le proprie competenze ed i propri poteri. Tuttavia, non sono mancate proposte differenti. L'allora primo ministro francese Guy Mollet aveva proposto come precondizione all'integrazione economica, un'armonizzazione degli ordinamenti sociali 54 , fondata sull'idea che, avendo gli allora sei Stati fondatori modelli di welfare simili, sarebbe stato facile procedere a tale armonizzazione 55 ; ma non era ancora tempo. Benché l'attenzione prestata ai diritti sociali appare alquanto scarsa nei Trattati istitutivi della CEE, non di meno è da sottolineare che da sempre, la parificazione, verso l'alto, delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dell'Unione è stato uno degli obbiettivi della Comunità 56 . La difficoltà maggiore consiste nel fatto che fin dagli albori della Comunità la garanzia di questi diritti è stata ricercata più nel gioco delle forze di mercato che non attraverso strumenti di tutela diretti 57 . I padri costituenti della CEE ritenevano, infatti, che sarebbero stati la cooperazione e lo sviluppo economico i fattori che da soli avrebbero portato al conseguente sviluppo e alla tutela dei diritti sociali, in particolar modo quelli dei lavoratori. In pratica la 50 Ci si riferisce qui ai Trattati CEE CECA ed EURATOM firmati a Roma nel 1957. 51 Cfr. s: Giubboni,I diritti sociali fondamentali nell'ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Diritto dell' UE, 2003, 8 pp. 325-356, qui p. 326. 52 Cfr. F. G. Jacobs, Human Rights in the European Union: the role of the Court of Justice, in Europ., Law, Rev., 2001, pp.331 ss., qui p. 332. 53 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 e della quale ad oggi fanno parte tutti gli stati europei compresi quelli che non fanno parte dell'UE. 54 Per un'analisi più approfondita delle proposte di Mollet si veda F. W. Scharpf, The European social model: coping with the challenges of diversity, in JCMS , 2002, 40, n. 4, pp.645-670, qui p. 646. 55 Si noti che in effetti agli albori della Comunità i modelli di welfare state dei 6 paesi membri erano molto più simili rispetto a quelli dei paesi che avrebbero aderito in seguito, si pensi al modello anglosassone e a quello scandinavo, e soprattutto non avevano ancora avuto modo di differenziarsi come avrebbero fatto in seguito. Probabilmente sarebbe stato molto più facile costruire allora un' Europa sociale rispetto a quanto non possa essere oggi. 56 Articolo 2 del Tce. 57 Cfr. M. Luciani, "Diritti sociali e integrazione europea", in Pol. del dir., 2000, n. 3, p. 367. 30 Comunità veniva concepita e acquistava legittimità "come ordinamento rivolto alla garanzia delle libertà economiche ed alla protezione della concorrenza da parte delle istituzioni sovranazionali. Questa legittimazione era indipendente da quella delle istituzioni democratiche degli Stati costituzionali" 58 e prevedeva quello che è stato definito un "political decoupling of economic integration and social-protection issues". 59 Gli Stati membri allo scopo di evitare un'espansione surrettizia delle competenze comunitarie, cercarono di scongiurare la creazione di quel nesso "tra l'enunciazione di un Bill of rights e l'estensione delle competenze centrali a scapito delle unità nazionali" 60 , tipico del modello statunitense, creando così un Europa a "due livelli". Da un lato, il livello economico fondato sull'idea dell'integrazione e dell'armonizzazione degli ordinamenti degli Stati membri, volto a garantire il mercato unico, la stabilità economica e la crescita; dall'altro, il piano sociale, che rimaneva affidato agli Stati membri e, pertanto, si sviluppava in modo differenziato, con l'unico limite comune che era rappresentato dai vincoli di bilancio imposti agli Stati membri dalla Comunità, per il raggiungimento degli scopi economici. La Comunità degli albori, profondamente convinta che l'integrazione economica avrebbe portato anche allo sviluppo e alla tutela dell'integrazione sociale, non fece i conti con un dato storico, e cioè che lo sviluppo dello Stato liberal-democratico e quello sociale contemporaneo si sono spesso dovuti confrontare con crisi di mercato e con l'esigenza, conseguente, di un intervento sussidiario del potere pubblico in economia 61 . Non è un caso, dunque, che così come gli Stati membri abbiano avvertito l'esigenza della creazione dello stato sociale anche l'Unione, specie a seguito della crisi degli anni 70, abbia dovuto rimettere in discussione il proprio modello fondativo e si sia trovata ad affrontare il problema dell'integrazione sociale. Ma negli anni 50 il sentire comune era diverso, i popoli europei appena usciti dal conflitto mondiale vedevano nel progresso economico la soluzione a tutti i mali. Da questo punto di vista anche gli altri strumenti internazionali di protezione dei diritti umani non davano grande peso ai diritti sociali 62 . La stessa CEDU non prevedeva né prevede 63 , un 58
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