UC Berkeley California Italian Studies Title Publication Date
Roberto Esposito
unpublished
Prima di rintracciare il tema "fortuna" alle origini della filosofia italiana, poniamoci una domanda preliminare, da cui dipende il senso di tutto il discorso. Esiste qualcosa come una filosofia italiana? E, prima ancora, è possibile parlare della filosofia in termini nazionali -di una filosofia italiana, francese, tedesca? La filosofia è, come la storia e la geografia, riconducibile a contesti particolari, oppure, come la matematica e la musica, definibile solo in termini generali e anzi
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... sali, secondo quella che è in fondo l'aspirazione di tutti i filosofi -parlare al mondo intero, soprattutto adesso che esso è completamente globalizzato? Si tratta di una domanda tutt'altro che nuova, cui si sono di volta in volta date risposte diverse ed anche opposte. Se Fichte e Heidegger hanno posto la filosofia tedesca al centro della cultura europea -arrivando a dichiarare il tedesco lingua filosofica per eccellenza, al punto che un francese, per capire Cartesio, avrebbe dovuto interrogarlo in lingua tedesca, altri, come Hölderlin e Nietzsche, ritengono che il pensiero trovi proprio nell'elemento straniero la propria verità. Come ho provato a sostenere in un libro recente -dedicato appunto alla individuazione dei caratteri del nostro pensiero dai suoi inizi fino al dibattito contemporaneo -credo si debba adottare un punto di vista insieme più duttile e profondo (Esposito 2010). Esso è ben sintetizzato da Gilles Deleuze, quando, nel suo saggio intitolato Che cos'è la filosofia, scrive che "Pensare non è un filo teso tra un soggetto e un oggetto..., ma si realizza piuttosto nel rapporto fra il territorio e la terra," aggiungendo che la geografia è una componente essenziale della filosofia, almeno come e a volte anche più della storia (Deleuze and Guattari 2002, 77). Ma, anziché privilegiare un'ottica nazionale e, per così dire, autarchica, la 'geofilosofia' di cui parla Deleuze va in tutt'altra direzione rispetto ad ogni forma di nazionalismo filosofico. Intanto perché si riferisce alla terra, e non alla nazione, e poi perché ogni territorializzazione, ogni riferimento ad una terra particolare, va, secondo lui, pensata insieme al movimento, opposto, di deterritorializzazione, cioè di rottura dei confini territoriali e di continua contaminazione con il mondo esterno. Se ci si pensa, entrambe queste caratteristiche -il carattere non nazionale della filosofia e la sua attitudine al continuo sconfinamento, quello che si può definire 'cosmopolitismo filosofico' -si adattano perfettamente alla specificità del pensiero italiano. Nato ben prima, e al di fuori, della formazione dello Stato unitario, che, come è noto, ha appena centocinquanta anni, il pensiero italiano appare fin dall'inizio rivolto all'esterno, appunto deterritorializzato, capace di recepire fermenti venuti da altre tradizioni e di trasmettere ad esse le proprie idee. Privo di contesto nazionalediversamente dalle filosofie francese, inglese e alla fine anche da quella tedesca -senza una capitale come Parigi, Londra o Madrid in grado di darle unità, la filosofia italiana, fin dall'Umanesimo e dal Rinascimento, ha intrapreso un ricco scambio culturale con i tanti intellettuali stranieri venuti in Italia, portando e diffondendo a sua volta in tutta Europa i propri paradigmi innovativi, già a partire da Dante, Machiavelli, Bruno. Ma ciò -questa circolazione continua tra interno ed esterno -non cancella alcuni tratti tipici del pensiero italiano, che vanno anche aldilà di quello che è riconosciuto come il suo stile, artistico o
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