«Where Angels Fear to Tread»: un dialogo sulla Biblioteca di Anglistica
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Francesca Orestano
Il fascino inquieto dell'utopia
Sull'orizzonte della tradizione del passato, attraverso il filtro della parola scritta, forme geometriche o circolari di edifici, colonnati, triclini o sale di lettura dalle alte cupole, e polverosi interminabili scaffali e corridoi si delineano a perdita d'occhio: sono le architetture ideali e i resti archeologici di quelle che furonoe sonobiblioteche famose, situate in un passato storico o immaginario, percorse da viaggiatori e studiosi o descritte con la fantasia, rimpiante dopo funesti
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... di voluti o casuali, e sempre rifondate dal desiderio e dalla volontà umana. Il territorio dove si collocano le biblioteche della nostra storia è sempre un non-luogo, ovunque sia, dove l'impulso utopico alla completezza delle conoscenze e alla saturazione ordinata dello spazio confina con le maglie vuote dell'assurdo, con le intermittenze dei nostri saperi. Le cellette esagonali piene di miele sono diverse dalla ragnatela che con il suo fragile disegno attraversa l'aria, ma tutto sommato svolgono una funzione analoga. Il finito, il contabile e il catalogabile si avventurano verso l'infinita possibilità numerica che contorna la mappa dell'universo conosciuto. E questo coesistere di contrastanti impulsi è stato avvertito nel passato come in tempi recenti, con particolare riferimento alla tradizione classica dell'utopia: «[t]he twentieth century has witnessed a continuous revision and critique of the meaning and role of classical utopia» (Fortunati e Trousson 2000: 9). Se la conoscenza (qui la conoscenza che si incarna nello psazio della biblioteca) è oggetto della prospettiva utopica, il mondo moderno ha debitamente registrato le spinte avverse e contrarie a tali progetti. Nessun luogo, per ricordare i versi di Pope, è sacro: proprio là dove si imbastiscono i nostri sogni, e il poeta vede angeli, irrompe la prosaica realtà quotidiana. Tra le due guerre dello scorso secolo, la voce di Virginia Woolf in Jacob's Room, evoca i sentimenti del giovane protagonista che si avventura, esitante ma ambizioso, nel cerchio magico di quella che era, sino a un tempo non troppo lontano, la grande sala di lettura della British Library: There is in the British Museum an enormous mind. Consider that Plato is here check by jowl with Aristotle; and Shakespeare with Marlowe. This great mind is hoarded beyond the power of any single mind to possess it. Nevertheless [...] one can't help thinking how one might come with a notebook, sit at a desk, and read it all through (Woolf (1922) 1992: 93). In quel circolare spazio azzurro, sotto la cupola del Panizzi, simile a una volta celeste ancorata al suolo dalle costolature gotiche sottolineate in oro, con il cerchio del recinto dei cataloghi cartacei posto al centro della sala e tutt'intorno i dodici raggi della ruota che allineano punti di lettura, ripiani e poltrone di sontuoso cuoio blu, Jacob condivide con altre menti, dedite alla ricerca e allo studio, l'avventura e la limitazione dei saperi, la singolarità del suo punto di vista, lo scorrere del tempo. E, al momento di uscire, «the rain poured down»: The British Museum stood in one solid immense mound, very pale, very sleek in the rain [...]. The vast mind was sheeted with stone; and each compartment in the depths of it was safe and dry. The night-watchmen, flashing their lanterns over the backs of Plato and Shakespeare, saw that on the twenty-second of February neither flame, rat, nor burglar was going to violate these treasurespoor, highly respectable men, with wives and families at Kentish Town, do their best for twenty years to protect Plato and Shakespeare and then are buried at Highgate (Woolf (1922 ) 1992 .
doi:10.4000/books.ledizioni.483
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